Riflessioni a margine della sentenza della Corte di giustizia nel caso AMP Antarctica: un approccio più morbido a favore degli Stati membri?

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Abstract: In November 2018, the Court of Justice ruled on the so-called Antarctica case (judgment of 20 November 2018, joined cases C‑626/15 e C‑659/16, Commission v. Council) on two actions of annulment brought by the Commission against Council decisions approving the submission to the Commission for the Conservation of Antarctic Marine Living Resources (“the CCAMLR”) of a reflection paper and a common position on four proposals concerning the creation and study of marine protected areas. The point concerned was the question of on behalf of whom the paper and the positions at issue could be submitted: the Union alone or the Union together with its Member States? Although it had no echo on the doctrinal level, the orientation assumed from the Court does introduce important elements, in particular in relation to the EU institutional framework as well as to the balance between Member States and the Union in terms of external action.

Keywords: external action – EU competences – Art. 218, para. 9, TFEU – institutional framework – international agreements – action for annulment.

I. Introduzione

La crescente rilevanza dell’azione esterna dell’Unione europea, accompagnata tra le altre cose dal progressivo ampliamento delle sue competenze in questo ambito, ha comportato un considerevole ridimensionamento del margine di azione degli Stati membri.[1] Tuttavia, la consistenza delle relazioni che quest’ultimi intrattengono con soggetti terzi, nonché il loro utilizzo di strumenti internazionali sia a fianco che separatamente rispetto all’Unione è prova del fatto che la titolarità di diritti e obblighi internazionali in capo agli Stati membri in un determinato settore si sovrapponga frequentemente all’ambito di azione delle istituzioni dell’Unione in virtù delle competenze che sono loro attribuite. In termini pratici, è spesso emersa la questione se l’UE possa agire da sola o congiuntamente agli Stati membri qualora entrambi siano parte di accordi internazionali che disciplinino materie di natura concorrente. Tra le varie modalità di azione è possibile ricomprendere anche le prese di posizione all’interno degli organismi istituiti dagli accordi stessi e capaci di adottare atti aventi carattere giuridicamente vincolante.

La possibilità che l’Unione possa assumere una posizione comune all’interno di organi internazionali è stata introdotta per la prima volta nel Trattato di Amsterdam e ripresa poi dal Trattato di Nizza, senza tuttavia prevedere alcun dettaglio circa le modalità e la natura di tale partecipazione.[2] Perciò, per molto tempo, la disposizione di riferimento è stata invocata solo in modo sporadico e in relazione all’azione da intraprendere in ambiti alquanto limitati.[3] Il Trattato di Lisbona, e nello specifico l’art. 218, par. 9, TFUE, ha invece contribuito ad ampliarne il contenuto attribuendo al Consiglio la competenza ad adottare una decisione formale circa la posizione che l’Unione dovrebbe assumere in un organo istituito da un accordo qualora esso debba adottare atti che abbiano effetti giuridici. A partire da Lisbona e con la formale acquisizione da parte dell’Unione della personalità giuridica sul piano internazionale ex art. 47 TUE, la procedura ivi prevista è stata più volte invocata non senza creare problemi in relazione all’autonomia degli Stati. Il coordinamento tra Unione europea e Stati Membri nelle posizioni da adottare all’interno di altri organismi internazionali rappresenta dunque una delle molteplici sfere di interazione sul piano dell’azione esterna.

In tale contesto si colloca la sentenza della Corte resa dalla Grande Sezione, dettaglio non irrilevante che dà testimonianza del rilievo del caso in esame, nel novembre 2018 nel caso Commissione c. Consiglio[4] derivante da un ricorso di annullamento ex art. 263 TFUE di due decisioni assunte rispettivamente dal Coreper e dal Consiglio relative alla posizione da assumere nel corso delle riunioni annuali della Commissione per la conservazione delle risorse biologiche dell’Antartico istituita con la Convenzione di Canberra del 1980. Pur non avendo avuto eco sul piano dottrinale,[5] l’orientamento assunto dalla Corte non sembra essere privo di alcuni elementi rilevanti in relazione a una molteplicità di aspetti. Partendo dunque dalla conclusione della Corte circa la natura concorrente della competenza ad agire nel caso di specie che va a giustificare la partecipazione degli Stati membri a fianco dell’Unione, il punto su cui pare opportuno riflettere in questo contributo è rappresentato dall’orientamento fornito dai giudici di Lussemburgo in relazione all’azione esterna dell’Unione. Esso pare infatti introdurre un ulteriore tassello rispetto alla giurisprudenza recente.[6]

II. Il caso AMP Antarctique di fronte alla Corte di giustizia

Come noto, l’ordinamento giuridico internazionale qualifica l’Antartide come territorio internazionalizzato, nel senso che esso non solo non è soggetto alla sovranità di alcuno Stato, ma anche che il suo utilizzo è disciplinato da un complesso sistema di norme internazionali. Il Trattato Antartico,[7] che rappresenta il principale strumento volto a regolamentare le attività nel continente, prevede che gli Stati contraenti congelino le proprie pretese di sovranità limitandosi a svolgere azioni esclusivamente pacifiche per scopi scientifici e cooperativi, con scambio di informazioni e mutuo controllo. Il sistema giuridico derivante dal Trattato Antartico è stato poi integrato da successivi accordi, tra cui la Convenzione di Canberra sulla conservazione delle risorse biologiche dell’Antartico del 1980,[8] cui ad oggi hanno aderito dodici Stati membri dell’Unione europea[9] oltre che la stessa Unione.[10] Tra le altre cose, la Convenzione istituisce una Commissione per la Conservazione delle risorse marine viventi dell’Antartico (CCAMLR) che si è prefissata di creare una rete di aree marine protette (AMP) determinando “the opening and closing of areas, regions or sub-regions for purposes of scientific study or conservation”.[11] Nel 2011, la Commissione CAMLR ha adottato la misura di conservazione denominata “Quadro generale per la creazione di aree marine protette”, prefissandosi di creare AMP nel mare di Weddell, nel mare di Ross e nell’Antartico orientale, nonché un insieme di aree speciali destinate allo studio scientifico sui cambiamenti climatici e sul ritiro dei ghiacciai per individuare modalità di conservazione della biodiversità marina oggetto di sfruttamento mediante la pesca.

In qualità di membro della CCAMLR anche l’Unione partecipa alle riunioni annuali e, per prepararne la partecipazione, è necessario seguire la procedura prevista all’art. 218, par. 9, TFUE.[12] Nel 2009, il Consiglio ha così adottato la prima decisione relativa alla posizione (di seguito “posizione pluriennale”) da adottare nell’ambito della Commissione CAMLR per il periodo 2009-2014 su questioni legate al settore della politica comune della pesca (PCP), poi sostituita da una nuova decisione nel 2014.[13] In particolare, la posizione pluriennale istituisce una procedura semplificata in base alla quale “la Commissione europea trasmette al Consiglio o ai suoi organi preparatori, con congruo anticipo prima di ogni riunione annuale della Commissione CAMLR, un documento scritto che illustra in dettaglio la proposta di definizione della posizione dell’Unione, per esame e approvazione, e i dettagli della posizione da esprimere a nome dell’Unione”.[14]

In ossequio a tale procedura, il 31 agosto 2015 e il 30 agosto 2016, i servizi della Commissione europea hanno trasmesso al gruppo di lavoro “pesca” del Consiglio due documenti informali ai quali era allegato il progetto del documento di riflessione che proponeva di sottoporre le misure previste alla Commissione CAMLR unicamente a nome dell’Unione poiché finalizzate alla conservazione delle risorse biologiche del mare nel quadro della politica comune della pesca. Pur dando seguito alle misure proposte, entrambe le decisioni,[15] una del Coreper e l’altra del Consiglio, sono state adottate non solo a nome dell’Unione ma anche dei suoi Stati membri riportando che le misure previste non rientrassero nell’ambito della conservazione delle risorse biologiche marine bensì in quella ambientale che figura tra le competenze concorrenti. La Commissione ha così proposto due ricorsi di annullamento: una per la decisione del 2015 (causa C-626/15); un’altra per quella del 2016 (causa C-659/16) nella parte in cui si approva la presentazione del documento di riflessione alla Commissione CAMLR a nome dell’Unione e degli Stati membri. Il punto del contendere non era dunque la posizione sostanziale inclusa nel documento, quanto la questione del “a chi” attribuire tale posizione.

La Commissione riteneva, infatti, che le decisioni fossero state adottate in violazione della competenza esclusiva che l’art. 3, par. 1, lett. d), TFUE conferisce all’Unione nel settore della conservazione delle risorse biologiche marine nell’ambito della PCP. Difatti, secondo la Commissione, l’azione dell’Unione nel contesto della Convenzione di Canberra sarebbe intesa a introdurre misure rientranti in tale competenza esclusiva. Dunque, sebbene la creazione di una AMP risponda in parte a preoccupazioni di ordine ambientale, ciò non significa che siffatte misure debbano necessariamente rientrare nella politica ambientale di carattere concorrente. Piuttosto, la disposizione dell’art. 3 TFUE dovrebbe essere letta alla luce dell’art. 11 TFUE che, intervenendo orizzontalmente,[16] richiede un’integrazione delle esigenze di tutela dell’ambiente con le altre politiche ed azioni dell’Unione. Il centro di gravità del documento tenderebbe quindi verso la competenza esclusiva dell’Unione e non verso quella concorrente.

La Commissione aveva poi invocato un ulteriore motivo di annullamento vertente su una violazione dell’art. 3, par. 2, TFUE in virtù della giurisprudenza AETS.[17] A tale riguardo, la Commissione ha infatti ricordato che l’Unione detiene una competenza esclusiva per la conclusione di accordi internazionali, nonché per l’adozione di misure di esecuzione da parte di organi istituiti dagli accordi stessi, quando tale conclusione possa incidere su norme comuni o modificarne la portata. Pertanto, pur supponendo che la partecipazione al voto sull’adozione, nell’ambito della Commissione CAMLR, delle misure previste rientrasse in una competenza concorrente, sul piano esterno quest’ultima sarebbe divenuta esclusiva per due motivi: da una parte, le suddette misure sarebbero in contraddizione con la posizione pluriennale secondo cui le posizioni nell’ambito di tale organismo internazionale devono essere adottate dall’Unione individualmente; dall’altro, l’attuazione delle AMP e delle aree di ricerca speciali proposte potrebbe incidere su una pluralità di norme contenute nei regolamenti n. 600/2004[18] e n. 601/2004[19] nonché nel regolamento n. 1380/2013,[20] che stabiliscono misure da applicarsi alle attività di pesca nell’area antartica. D’altro canto, il Consiglio – appoggiato peraltro da alcuni Stati membri[21] – rigettava le argomentazioni della Commissione sostenendo la natura concorrente della componente preponderante della Convenzione di Canberra e dunque il necessario coinvolgimento degli Stati membri.

III. Il giudizio della Corte: tra ripartizione delle competenze e diritto internazionale

Il 20 novembre 2018, la Corte di Giustizia si è espressa in merito alla questione, ribaltando completamente la posizione dell’Avvocato Generale Kokott[22] la quale aveva escluso la necessità giuridica di un coinvolgimento degli Stati nella presentazione del documento alla Commissione CAMLR.[23]

Ciò detto, la Corte ha prima di tutto svolto un ragionamento complessivo circa le competenze attribuite all’Unione, a partire dalla circostanza che l’individuazione della competenza preponderante è determinata dal contesto, dal contenuto e dagli obiettivi da perseguire.[24] In particolare, l’argomentazione teleologica è quella che la Corte ha tenuto in considerazione. Tramite una dettagliata operazione interpretativa, i giudici hanno infatti ricostruito l’obiettivo finale della Convenzione di Canberra, ovvero quello di introdurre misure relative alla protezione dell’ambiente e di tutelare l’integrità dell’ecosistema dei mari che circondano l’Antartide. Alla luce di ciò, le disposizioni che regolano l’attività dei pescherecci risulterebbero solamente accessorie. Inoltre, il compito principale della Commissione CAMLR sarebbe quello di mantenere la biodiversità marina e quindi l’introduzione di misure volte a regolamentare la pesca sarebbero giustificate solo in relazione a considerazioni di tipo ambientale. Pertanto, considerando che la componente principale del documento di riflessione è la tutela dell’ambiente, mentre la portata della competenza esclusiva dell’Unione ai sensi dell’art. 3, par. 1, lett. d), TFUE è indissolubilmente e unicamente legata alla PCP, la competenza dell’Unione cui riferirsi è quella autonomamente iscritta nell’art. 4, par. 2, lett. e), TFUE e dunque condivisa con gli Stati membri.[25]

Compiendo poi un ragionamento basato sull’onere della prova, la Corte ha verificato la possibilità di far riferimento all’art. 3, par. 2, TFUE, che, in ossequio alla dottrina AETS, prevede che l’Unione abbia una competenza esclusiva a concludere accordi internazionali laddove il loro contenuto vada ad incidere su norme comuni o a modificarne la portata. In merito, i giudici di Lussemburgo hanno in primis sottolineato che la dottrina AETS si applica a monte, in sede di negoziazione di siffatti accordi e, a valle, quando un organismo istituito in forza di detti accordi sia chiamato ad adottare misure di esecuzione dei medesimi.[26] Inoltre, hanno ricordato che la constatazione di un potenziale rischio non deve presupporre una concordanza completa tra il settore disciplinato dall’accordo internazionale e quello della normativa dell’Unione.[27] Ciononostante, secondo la Corte, la Commissione non avrebbe addotto prove sufficienti a dimostrare la natura esclusiva della competenza esterna dell’Unione nell’ambito in oggetto, nemmeno avuto riguardo al presunto rischio di incidenza sul significato, la portata ed efficacia delle norme interne e, in particolare, dei regolamenti già citati, come richiesto a partire dal caso Commissione c. Consiglio del 2014.[28]

Ben più interessante, seppur brevemente affrontato dalla Corte, risulta il tema relativo alla relazione tra l’art. 218 TFUE ed il sistema delle competenze, questione da sempre al centro del dibattito dottrinale.[29] Facendo riferimento alla sentenza Germania c. Consiglio (OTIF) del 5 dicembre 2017, che a dir il vero è maggiormente rivolta al tema della c.d. facultative mixity, la Corte ha confermato che non è da escludersi che il Consiglio permetta all’Unione di esercitare da sola una competenza concorrente sul piano esterno qualora sia raggiunta la maggioranza richiesta. Tuttavia, a detta della Corte, ciò deve avvenire nel pieno rispetto del diritto internazionale e, nel caso specifico, nel rispetto del sistema di convenzioni relative all’Antartico, sistema che non sembra concedere alle organizzazioni di integrazione regionale uno status autonomo rispetto ai propri Stati membri.[30] Inoltre, considerato che l’insieme dei trattati e delle convenzioni internazionali applicabili all’Antartico attribuiscono obblighi e responsabilità alle parti consultive (tra cui si annoverano alcuni Stati membri), l’azione dell’Unione senza la partecipazione dei suoi Stati membri in un settore di competenza concorrente potrebbe compromettere la posizione giuridica degli Stati stessi indebolendo la coerenza del sistema di strumenti di diritto internazionale relativi all’Antartide.[31] La conclusione di questo ragionamento è che non risulta possibile concedere piena autonomia all’Unione nell’ambito coperto dalla Convenzione di Canberra.

Alla luce di tutte le considerazioni sopra esposte, i giudici di Lussemburgo hanno respinto i ricorsi presentati dalla Commissione europea contro le decisioni del Consiglio.

IV. La sentenza della Corte di giustizia: una mossa in controtendenza a favore degli Stati membri?

Sebbene la questione del contendere nel caso in esame avesse natura formale, la sentenza della Corte non può che andare ad incidere anche su una dimensione sostanziale sia sul piano esterno che su quello interno. Prima, tuttavia, di passare ad analizzare i potenziali elementi di criticità della posizione assunta dai giudici di Lussemburgo, pare necessario fare una breve riflessione circa la spinosa questione delle competenze esterne dell’Unione, nonché sugli strumenti di azione della stessa.

Come emerge chiaramente dalla ricostruzione dei fatti, gli Stati membri erano allineati con l’Unione circa le modalità con cui contribuire attivamente agli obiettivi della Convenzione in oggetto, ma rigettavano la possibilità di intraprendere un’azione comune sul piano internazionale delegando alla sola Unione il ruolo di rappresentante al tavolo delle trattative internazionali. Nel ragionamento riportato nella sentenza in esame, la Corte ha appoggiato l’orientamento degli Stati, confermando altresì che una valutazione basata sulla componente preponderante non possa comportare, nei rapporti verticali, un’estensione delle competenze dell’Unione rispetto agli Stati membri. La conclusione raggiunta dai giudici di Lussemburgo non pareva, tuttavia, scontata.

Invero, in tempi recenti la Corte non si è astenuta dall’interpretare le competenze attribuite all’Unione fino al punto da compromettere in parte quelle degli Stati membri. In tal senso, basti pensare all’estensione ad opera della giurisprudenza della Corte della nozione di Politica Commerciale Comune (PCC) che ad oggi include tutto ciò che sia “destinato a promuovere, a facilitare o a disciplinare gli scambi commerciali e abbia effetti diretti e immediati su di essi”,[32] ivi compreso lo sviluppo sostenibile.[33] Oltre che sulla portata della competenza esclusiva, una siffatta estensione va ad incidere anche sulle modalità di esercizio di tale competenza sul piano esterno. Infatti, a partire dal caso International Fruit Company et al., è stato stabilito che, quando l’Unione già detiene o acquisisce una competenza esclusiva in uno specifico ambito, essa può negoziare e concludere con uno Stato terzo un accordo nonché contrarre impegni internazionali in tale settore sostituendosi ai propri Stati membri. A ciò si aggiunge il fatto che, stando al parere 2/15 sull’Accordo UE-Singapore,[34] qualora l’UE ottenga una competenza esclusiva, tutti i vincoli internazionali precedentemente contratti dagli Stati membri vengono trasferiti all’Unione come conseguenza di una successione non solo funzionale ma anche sostanziale.[35]

Ora, è senz’altro pacifico che la situazione descritta nel caso Antartide sia alquanto diversa rispetto a quella prospettata nel caso degli accordi commerciali di nuova generazione. Inoltre, si tratta di decisioni adottate nel quadro di un accordo cui l’Unione ha aderito successivamente al fianco di alcuni Stati membri e che ricomprende una pluralità di materie. Tuttavia, alla luce dei menzionati precedenti, se nel caso oggetto del presente contributo l’Unione avesse potuto agire da sola invocando l’esistenza di una competenza esclusiva ai sensi dell’art. 3, par. 1, lett. d), TFUE oppure dell’art. 3, par. 2, TFUE, seguendo l’orientamento assunto dalla Corte in relazione all’Accordo UE-Singapore, essa avrebbe potuto aprire nuovi scenari in relazione alla partecipazione dell’Unione alla Convenzione di Canberra in ragione peraltro delle argomentazioni avanzate dall’AG.[36]

In controtendenza rispetto all’orientamento recente[37] e senza peraltro addurre motivi particolarmente puntuali, i giudici hanno invece conferito una tutela particolare alle prerogative degli Stati membri alla luce del diritto internazionale. Questo è sicuramente un punto decisivo nella valutazione dei giudici di Lussemburgo. Il timore era infatti che la capacità dell’Unione di agire da sola all’interno della Commissione CAMLR avrebbe avuto serie ripercussioni non solo in relazione alle competenze degli Stati membri ma altresì sugli obblighi da essi contratti nei confronti delle altre parti contraenti della Convenzione di Canberra. Sembra quindi che la Corte abbia adottato una posizione più morbida rispetto alla prassi recente che, in termini generali, è andata spesso a favore di una lettura ampia delle competenze dell’Unione sul piano esterno a favore del principio della coerenza.[38]

Ciò detto, bisogna comunque sottolineare che – nonostante le conclusioni raggiunte – la Corte non ha mancato di chiarire un punto particolarmente delicato che riguarda il grado di indipendenza dell’Unione nell’esercizio di competenze concorrenti sul piano esterno. Infatti, sempre nel parere 2/15, la Corte aveva perentoriamente affermato che nel caso in cui gli impegni assunti rientrino in una competenza concorrente, questi non possano essere approvati dall’Unione da sola.[39] Ciò aveva portato a concludere che la cosiddetta mixity, e dunque il coinvolgimento degli Stati membri nel processo di conclusione di accordi internazionali, fosse pressoché inevitabile ogni qualvolta l’oggetto di un accordo fosse coperto in parte da competenze concorrenti. Nella successiva sentenza COTIF[40] la Corte aveva però ridimensionato tale posizione apparentemente molto netta sostenendo che in quell’occasione i giudici avevano semplicemente preso atto dell’impossibilità da parte del Consiglio di individuare la maggioranza richiesta perché l’Unione potesse esercitare, da sola, la competenza esterna che condivide con gli Stati membri in materia di investimenti di portafoglio. Nel caso qui in esame, i giudici hanno aderito a quest’ultima prospettiva, escludendo in termini generali un’automatica e necessaria correlazione tra la natura concorrente della materia e l’azione che deve essere perseguita; piuttosto la conclusione di un accordo misto, o nel caso specifico l’individuazione di una rappresentanza mista, sarebbe una decisione ad hoc che spetta al Consiglio secondo la procedura prevista dall’art. 218, par. 9, TFUE[41], rispettando il principio di leale cooperazione che investe reciprocamente i rapporti tra Unione e Stati membri anche in relazione all’azione esterna.[42]

V. Osservazioni conclusive

Partendo dalla questione del fondamento giuridico sul quale deve essere basata l’azione esterna dell’Unione, la sentenza oggetto del presente contributo rappresenta un’ulteriore tessera nel complesso mosaico in tema di competenze esterne dell’Unione e dei suoi Stati membri come delineato dal Trattato di Lisbona.

In modo diametralmente opposto rispetto all’AG, i giudici di Lussemburgo hanno adottato un approccio particolarmente favorevole agli Stati membri, sostenendo non solo che la disciplina ricadesse nella materia ambientale che per sua natura ha carattere concorrente, ma anche che, di fatto, non si potesse neanche applicare la giurisprudenza AETS. Ciononostante, le conclusioni cui la Corte è giunta circa le decisioni in questione potrebbero essere problematiche sotto due diversi profili.

In primo luogo, pare doveroso riconoscere se non un’evidente violazione del principio di leale cooperazione interistituzionale ex art. 13, par. 2, TUE,[43] quanto meno una certa incoerenza nell’approccio adottato dal Consiglio nonché dal Coreper in relazione alla vicenda in esame. Facendo un passo indietro e leggendo attentamente la decisione del 2014 a partire dalle motivazioni, è infatti riscontrabile che il Consiglio stesso aveva esplicitamente ancorato la posizione pluriennale nonché la procedura semplificata al quadro della politica comune della pesca nell’ambito della tutela delle risorse biologiche marine. Perciò, era pacifico che la decisione con cui l’Unione presentava la propria posizione in occasione delle riunioni annuali della Commissione CAMLR dovesse essere adottata nell’esercizio della sua competenza esclusiva in materia e secondo la procedura ivi prevista. Con l’adozione delle due decisioni impugnate, il Coreper prima e il Consiglio poi hanno cambiato nettamente tale impostazione iniziale, sostenendo la natura concorrente della materia preponderante (ovvero quella ambientale) del documento di riflessione. Oltretutto, è stato deciso di adottare la decisione del 2016 secondo la procedura ordinaria esattamente alla luce di tale valutazione, adducendo il fatto che la procedura semplificata non potesse essere applicata in quanto limitata a questioni attinenti alla politica comune della pesca. Sembra dunque che il Consiglio abbia peccato in due diversi momenti, ovvero quando ha adottato la decisione del 2014 facendola rientrare nell’ambito della politica comune della pesca, per poi smentirla procedendo ad adottare una decisione, quella del 2016, con procedura ordinaria. Alla luce di ciò, non è da escludersi che, proprio alla luce del ragionamento della Corte, la decisione del 2015 possa essere viziata per motivi di carattere procedurale dal momento che è stata adottata con procedura semplificata pur essendo stato riconosciuto dal Coreper stesso che la materia prevalente fosse di natura concorrente. E non è tutto: la stessa posizione pluriennale adottata dal Consiglio nel 2014 potrebbe risultare in realtà viziata dal momento che è volta a definire la procedura per l’adozione di una posizione comune dell’Unione nell’ambito della CCAMLR su questioni nel settore della politica comune della pesca che, a detta della Corte, non sarebbe tuttavia il settore di competenza prevalente in relazione alle misure adottate nel quadro della Convenzione di Canberra.

In secondo luogo, c’è da dire che l’apparente bilanciamento volto a garantire il rispetto del riparto delle competenze tra l’Unione e gli Stati membri in ossequio peraltro al principio di leale cooperazione ex art. 4, par. 3, TUE, mal si concilia con l’esigenza di unitarietà della rappresentanza dell’Unione a livello internazionale. Piuttosto, si introduce una situazione ibrida e ambigua sul versante dei rapporti giuridici tra le parti contraenti della Convenzione di Canberra. La peculiarità del caso esaminato rispetto, per esempio, ai tradizionali accordi misti, sta nel fatto che la Convenzione non ricomprende tutti gli Stati membri, bensì solo l’Unione e alcuni di essi. Le decisioni impugnate hanno riservato a tutti gli Stati, e non solo ad alcuni di loro, la possibilità di essere rappresentati nel corso delle riunioni della Commissione CAMLR, nonostante solo gli Stati che sono membri della CCAMLR possano partecipare alle discussioni e al processo decisionale della Commissione CAMLR. Sebbene sia pacifico che un trattato internazionale non possa vincolare Stati terzi senza il loro consenso,[44] adottare una posizione comune a nome non solo dell’Unione, ma anche di tutti gli Stati membri potrebbe aprire interessanti scenari circa gli obblighi derivanti da quanto stabilito nel corso delle riunioni annuali della Commissione CAMLR. A questo proposito pare lecito chiedersi come le future decisioni assunte dalla Commissione CAMLR potranno influenzare l’azione degli Stati membri in questo ambito nonostante taluni non siano parte alla Convenzione e dunque siano destinatari di mere raccomandazioni.

In conclusione, la sentenza della Corte ha garantito a taluni Stati membri di non vedere compromessi i propri obblighi e diritti derivanti dalla membership alla Convenzione di Canberra; d’altro canto, sembra che la Corte abbia dimostrato più sensibilità verso la necessità di garantire coerenza al sistema di strumenti convenzionali sull’Antartico che all’azione esterna dell’Unione. Alla luce di tali considerazioni e incertezze, pare dunque necessario confidare in futuri pronunciamenti da parte della Corte circa le dinamiche illustrate nel caso in esame che non solo interessano i rapporti interistituzionali sul piano del diritto interno, ma che hanno più ampie ripercussioni sull’azione dell’Unione e degli Stati membri nello scenario internazionale.

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European Papers, Vol. 4, 2019, No 2, European Forum, Insight of 20 June 2019, pp. 641-653
ISSN
2499-8249 - doi: 10.15166/2499-8249/308

* Assegnista di ricerca, Dipartimento di Scienze Giuridiche, Università di Bologna, susanna.villani2@unibo.it.

[1] V. M. Cremona, Defining Competence in EU External Relations: Lessons from the Treaty Reform Process, in A. Dashwood, M. Maresceau (a cura di), Law and Practice of EU External Relations: Salient Features of a Changing Landscape, Cambridge: Cambridge University Press, 2008, p. 34 et seq.; C. Hillion, R.A. Wessel, Restraining External Competences of EU Member States, in M. Cremona, B. De Witte (a cura di), EU Foreign Relations Law: Constitutional Fundamentals, Oxford: Oxford University Press, 2008, p. 79 et seq.; C. Eckes, International Law as Law of the EU: The Role of the European Court of Justice, in E. Cannizzaro, P. Palchetti, R.A. Wessel (a cura di), International Law as the Law of the European Union, Leiden: Martinus Nijhoff Publishers, 2012, p. 353 et seq.; A. Rosas, Exclusive, Shared and National Competence in the Context of EU External Relations: Do Such Distinctions Matter?, in I. Govaere, E. Lannon, P. Van Elsuwege, S. Adam (a cura di), The European Union in the World: Essays in Honour of Marc Maresceau, Leiden: Martinus Nijhoff Publishers, 2013, p. 17 et seq.; T. Konstadinides, In the Union of Wine: Loose Ends in the Relationship between the European Union and the Member States in the Field of External Representation, in European Public Law, 2015, p. 679 et seq.; P.J. Kuijper, Litigation on External Relations Powers after Lisbon: The Member States Reject Their Own Treaty, in Legal Issues of Economic Integration, 2016, p. 1 et seq.; F. Erlbacher, Recent Case Law on External Competences of the European Union – How Member States Can Embrace Their Own Treaty, in CLEER Papers, n. 2, 2017.

[2] Il Trattato CEE non prevedeva alcuno strumento generalmente applicabile ma si limitava a disciplinare l’azione comune nell’ambito di organizzazioni internazionali a carattere unicamente economico. In tale contesto il contributo della giurisprudenza della Corte di giustizia è stato determinante anche se, c’è da dire, che si è limitata a trattare situazioni alquanto specifiche, come quella di accordi internazionali cui solamente gli Stati membri fossero parte (Corte di giustizia, sentenza del 14 luglio 1976, cause riunite C-3/76, C-4/76 e C-6/76, Cornelis Kramer et al., par. 42-44; Corte di giustizia, parere 1/78 del 4 ottobre 1979, Accordo internazionale sulla gomma naturale, par. 49-50).

[3] V. N. Lavranos, Decisions of International Organizations in the European and Domestic Legal Orders of Selected EU Member States, Amsterdam: Europa Law Publishing, 2004; R.A. Wessel, The Legal Framework for the Participation of the European Union in International Institutions, in European Integration, 2011, p. 621 et seq.; K. Jørgensen, R. A. Wessel, The position of the European Union in (other) international organizations: Confronting legal and political approaches, in P. Koutrakos (a cura di), European Foreign Policy: Legal and Political Perspectives, Cheltenham: Edward Elgar Publishing, 2013, p. 261 et seq.; N. Lavranos, The Remaining Decisive role of Member States in Negotiating and Concluding EU Investment Agreements, in M. Bungenberg, A. Reinisch, C. Tietje (a cura di), EU and investment agreements. Open questions and remaining challenges, Baden-Baden: Nomos, 2013, p. 165 et seq.; R.A. Wessel, J. Odermatt (a cura di), Research Handbook on the EU’s Engagement with International Organisations, Cheltenham: Edward Elgar Publishing, 2018.

[4] Corte di giustizia, sentenza del 20 novembre 2018, cause riunite C‑626/15 e C‑659/16, Commissione c. Consiglio (AMP Antarctique).

[5] V. C. Eckes, Antarctica: has the Court of Justice got cold feet?, in European Law Blog, 3 dicembre 2018, europeanlawblog.eu; C. Flaesch-Mougin, Chronique Action extérieure de l’Union européenne, in Revue trimestrielle de droit européen, Paris: Dalloz, 2017, p. 125 et seq.

[6] In particolare, bisogna far riferimento alla posizione assunta dalla Corte in relazione all’Accordo UE-Singapore (Corte di giustizia, parere 2/15 del 16 maggio 2017, Accordo di libero scambio tra l’Unione europea e la Repubblica di Singapore).

[7] Il Trattato Antartico è stato adottato a Washington il 1° dicembre 1959 e attualmente ne sono parti contraenti 53 Stati in qualità di parti consultive e non consultive. L’Unione europea non è parte a tale Trattato.

[8] La Convenzione di Canberra è stata sottoscritta il 20 maggio 1980 ed è entrata in vigore il 7 aprile 1982. Insieme al Trattato Antartico, rappresenta il principale strumento di diritto internazionale volto a garantire la tutela delle risorse del continente. Per un approfondimento sul territorio antartico e il diritto internazionale v. E. Sciso, Le risorse dell’Antartide e il diritto internazionale, Padova: CEDAM, 1990; F. Francioni, T. Scovazzi (a cura di), International Law for Antarctica, The Hague: Kluwer, 1996; E. Sciso, Principi e regole per la tutela ambientale dell’Antartide, in A. Del Vecchio, A. Dal Ri Junior (a cura di), Il diritto internazionale dell’ambiente dopo il Vertice di Johannesburg, Napoli: Editoriale Scientifica, 2005, p. 411 et seq.

[9] Sei di questi Stati aderirono immediatamente (Belgio, Bulgaria, Germania, Francia, Polonia e Regno Unito), mentre gli altri (Spagna, Grecia, Italia, Olanda, Finlandia e Svezia) hanno aderito successivamente.

[10] Ai sensi dell’art. XXIX, par. 2, è aperta l’adesione delle organizzazioni regionali di integrazione economica alle quali gli Stati abbiano trasferito, integralmente o parzialmente, le competenze relative alle questioni oggetto della Convenzione. L’Unione europea ha approvato la Convenzione di Canberra con Decisione 81/691/CEE del Consiglio del 4 settembre 1981 e vi ha aderito il 21 aprile 1982.

[11] Art. 17, par. 2, lett. g), della Convenzione di Canberra.

[12] Per approfondimenti sul ruolo dell’Unione nell’Antartico, V. N. Vanstappen, J. Wouters, The EU and the Antarctic: strange bedfellows?, Working Paper of the Leuven Centre for Global Governance Studies, n. 169, 2016.

[13] Decisione del Consiglio del 19 ottobre 2009 relativa alla posizione da adottare a nome dell’Unione europea nell’ambito della Commissione per la conservazione delle risorse biologiche dell’Antartico (CCAMLR) (documento del Consiglio 13908/1/09 REV 1); Decisione del Consiglio dell’11 giugno 2014 relativa alla posizione da adottare a nome dell’Unione europea nell’ambito della Commissione per la conservazione delle risorse biologiche dell’Antartico (CCAMLR) (documento del Consiglio 10840/14). La procedura semplificata viene fissata all’allegato II della decisione.

[14] Art. 2 della Decisione 10840/14. Agli organi preparatori, incluso il Coreper, sono quindi attribuiti non solo poteri di controllo ma anche decisionali intesi ad approvare la proposta della Commissione senza passare dal voto finale in Consiglio.

[15] Il contenuto di tale decisione è riportato nel verbale sommario della riunione n. 2554 del Comitato dei Rappresentanti Permanenti del 23 settembre 2015 (documento del Consiglio 11837/15, par. 65, pp. 19-20, nonché documento del Consiglio 11644/1/15/REV). Il contenuto concreto della posizione che deve essere adottata dall’Unione promana dal documento del Consiglio 12445/16.

[16] In tal senso, v. la posizione della Corte nei seguenti casi: sentenza del 29 marzo 1990, causa C-62/88, Grecia c. Consiglio (Chernobyl), par. 20; sentenza del 24 novembre 1993, causa C-405/92, Mondiet, par. 27.

[17] Corte di giustizia, sentenza del 31 marzo 1971, causa C-22/70, Commissione c. Consiglio (AETS).

[18] Regolamento (CE) n. 600/2004 del Consiglio, del 22 marzo 2004, che stabilisce talune misure tecniche applicabili alle attività di pesca nella zona della convenzione sulla conservazione delle risorse biologiche dell’Antartico.

[19] Regolamento (CE) n. 601/2004 del Consiglio, del 22 marzo 2004, che stabilisce talune misure di controllo applicabili alle attività di pesca nella zona della convenzione sulla conservazione delle risorse biologiche dell’Antartico, e che abroga i regolamenti (CEE) n. 3943/90, (CE) n. 66/98 e (CE) n. 1721/1999.

[20] Regolamento (UE) n. 1380/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 dicembre 2013, relativo alla politica comune della pesca, che modifica i regolamenti (CE) n. 1954/2003 e (CE) n. 1224/2009 del Consiglio e che abroga i regolamenti (CE) n. 2371/2002 e (CE) n. 639/2004 del Consiglio, nonché la decisione 2004/585/CE del Consiglio.

[21] Gli Stati che hanno sostenuto le argomentazioni del Consiglio sono i seguenti: Germania, Grecia, Spagna, Francia, Paesi Bassi, Portogallo, Finlandia, Svezia, Gran Bretagna e Irlanda del Nord.

[22] Conclusioni dell’Avvocato Generale Juliane Kokott presentate il 31 maggio 2018, cause riunite C-626/15 e C-659/16, Commissione c. Consiglio.

[23] Conclusioni dell’AG Kokott, AMP Antarctique, cit., par. 104 et seq.

[24] AMP Antarctique, cit., par. 76. A tal riguardo, è opportuno poi ricordare che, come sottolineato dalla Corte stessa, nel caso in cui un atto persegua molteplici finalità o possegga più componenti occorre individuare quella preponderante in modo tale che esso si basi su un solo fondamento giuridico (Corte di giustizia: sentenza del 24 giugno 2014, C-658/11, Parlamento c. Consiglio, par. 43; sentenza del 4 settembre 2018, C-244/17, Commissione c. Consiglio (Accordo con il Kazakhstan), par. 37). Solo in casi eccezionali è possibile che un atto sia fondato al contempo su più fondamenti giuridici senza che uno risulti accessorio rispetto all’altro (Corte di giustizia, sentenza dell’11 settembre 2003, C-211/01, Germania c. Consiglio, par. 40).

[25] AMP Antarctique, cit., par. 100.

[26] Ibidem, par. 112.

[27] Ibidem, par. 113.

[28] Corte di giustizia, sentenza del 4 settembre 2014, causa C-114/12, Commissione c. Consiglio, par. 75.

[29] V. M. Cremona, EU external competence: rationales for exclusivity, in S. Garben, I. Govaere (a cura di), The division of competences between the European Union and its Member States: reflections on the past, present and future, Oxford: Hart Publishing, 2017, p. 133 et seq.; E. Neframi, M. Gatti, Autonomy and EU Competences in the Context of Free Trade and Investment Agreements, in I. Bosse Platiere, C. Rapoport (a cura di), Negotiation and Conclusion of the New Generation of Free Trade Agreements, Cheltenham: Edward Elgar Publishing, 2019.

[30] AMP Antarctique, cit., par. 130. La Convenzione prevede infatti che una organizzazione internazionale possa aderire solo se tutti i suoi Stati membri sono già parte della convenzione.

[31] Ibidem, par. 133.

[32]Corte di giustizia, sentenza del 18 luglio 2013, causa C-414/11, Daiichi Sankyo e Sanofi-Aventis Deutschland, punti 49-52, nonché il parere 3/15 del 14 febbraio 2017, Trattato di Marrakech, par. 78.

[33] Parere 2/15, cit., par. 147.

[34] Ibidem, par. 250.

[35] La questione è in realtà alquanto dibattuta in dottrina. Infatti, secondo alcuni è discutibile l’approccio massimalista assunto dalla Corte nel caso UE-Singapore in relazione, inter alia, al principio di leale cooperazione che ha di fatto stabilito il destino degli accordi precedentemente conclusi dagli Stati membri nell’ambito degli investimenti esteri diretti. Sul tema della successione funzionale e sostanziale dell’Unione rispetto agli Stati membri negli accordi internazionali, V. F. Casolari, La Corte di giustizia e gli obblighi convenzionali assunti dall’insieme degli Stati membri verso Stati terzi: obblighi comuni o… obblighi comunitari?, in Il Diritto dell’Unione Europea, 2009, p. 267 et seq.; S. Saluzzo, Accordi internazionali degli Stati membri dell’Unione europea e Stati terzi, Milano: Ledizioni, 2018, p. 246 et seq.

[36] In merito c’è tuttavia da ricordare che un mutamento nelle modalità di partecipazione dell’Unione alla Convenzione di Canberra avrebbe dovuto prevedere in primo luogo la consultazione delle altre parti alla Convenzione.

[37] Per un’analisi della prassi recente in merito, v. A. Delgado Casteleiro, J. Larik, The duty to remain silent: Limitless loyalty in EU external relations?, in European Law Review, 2011, p. 524 et seq.

[38] Il tema della coerenza tra piano interno e piano esterno si incontra, ad esempio, nel caso OIV del 2014. Corte di giustizia, sentenza del 7 ottobre 2014, causa C-399/12, Germania c. Consiglio (OIV), par. 52. V. I. Govaere, Novel Issues pertaining tho EU Member States membership of other international organisations: the OIV case, in I. Govaere, E. Lannon, P. Van Elsuwege, S. Adam (a cura di), The European Union in the World. Essays in Honour of Marc Maresceau, Leiden: Martinus Nijhoff Publisher, 2014, p. 225 et seq.

[39] Parere 2/15, cit., par. 244.

[40] Corte di giustizia, sentenza del 5 dicembre 2017, causa C-600/14, Germania c. Consiglio (COTIF).

[41] Sul punto, l’AG era stato ancora più incisivo ritenendo che la rappresentanza mista sarebbe necessaria solo qualora l’UE non disponga di sufficienti competenze di natura esclusiva o concorrente per poter agire con paesi terzi o negli organi internazionali. V. par. 108 delle conclusioni dell’AG.

[42] È infatti necessario che, da una parte, gli Stati membri tengano in considerazione gli interessi dell’Unione agendo nel pieno rispetto del diritto UE anche qualora si tratti di dare corpo a una competenza concorrente in modo tale da assicurare la coerenza dell’azione esterna dell’Unione. L’obiettivo è quello di proteggere l’integrità e l’effettività del diritto UE da azioni non condivise dagli Stati membri a livello internazionale, evitando che questi assumano obblighi internazionali pregiudizievoli per il funzionamento delle norme comuni interne (sul punto v. Corte di giustizia, sentenza del 20 aprile 2010, causa C-246/07, Commissione c. Svezia (PFOS)). Dall’altra, l’Unione è chiamata a rispettare la posizione degli Stati membri in riferimento, tra le altre cose, agli impegni da loro assunti sul piano internazionale. Sul principio di leale cooperazione, v. J. Larik, Pars Pro Toto: The Member States’ Obligations of Sincere Cooperation, Solidarity and Unity, in M. Cremona (a cura di), Structural Principles in EU External Relations Law, Oxford: Hart Publishing, 2018, p. 175 et seq.; F. Casolari, The principle of loyal cooperation: A ‘master key’ for EU external representation?, in S. Besson, N. Levrat (a cura di), L’Union européenne et le droit international – The European Union and international law, Geneva: Schulthess, 2015, p. 91 et seq.; A. Thies, Le devoir de coopération loyale dans l’exercice des compétences externes de l’Union européenne et des États membres, in E. Neframi (a cura di), Objectifs et compétences dans l’Union européenne, Brussels: Bruylant, 2013, p. 315 et seq.

[43] L’art. 13, par. 2, TUE, introducendo per la prima volta nel diritto primario il principio di origine giurisprudenziale della leale cooperazione tra le istituzioni, riconosce il dovere di ogni istituzione europea di ottemperare ai fini del buon funzionamento dell’Unione. Sull’interazione tra i principi di attribuzione, di equilibrio istituzionale e di cooperazione interistituzionale in relazione all’azione esterna, v., tra tutti, C. Hillion, Conferral, Cooperation and Balance in the Institutional Framework of the EU External Action, in M. Cremona (a cura di) Structural principles in EU external relations law, cit., p. 117 et seq.; P. Koutrakos, Institutional balance and the duty of cooperation in treaty-making under EU law, in International and Comparative Law Quarterly, 2019, p. 1 et seq.

[44] In tal senso, v. il contenuto dell’art. 34 della Convenzione di Vienna del 23 maggio 1969 sul diritto dei trattati quando afferma che “un trattato non crea né obblighi né diritti per uno Stato terzo senza il suo consenso”.

 

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